La crisi del pugilato a torso nudo, in termini economici e di spettacolarità, penalizza la Noble Art nella sua interezza. Dilettantismo e Professionismo: due facce della stessa medaglia.
Risale ad appena un mese fa il match di rientro di una « vecchia gloria » transalpina, l’ex-iridato dei Cruiser Jean-Marc Mormek, originario della Guadalupe, quando ben 5000 spettatori hanno invaso l’Halle Carpentier di Parigi, per assistere al debutto del loro beniamino nella categoria dei Massimi, contro il coraggioso italo-americano Vinnie Maddalone, che se avesse guadagnato un dollaro per ogni colpo subito in carriera, forse sarebbe già ricco!...
(Pubblico di tanti anni fa...)
Ciò potrebbe far pensare alla Francia come ad una terra felice per il professionismo, ma in realtà non è del tutto vero, come dimostra anche il precoce addio al ring di un pugile di vasta popolarità come Brahim Asloum, che a 30 anni avrebbe potuto dare ancora molto alla boxe, ma ha gettato la spugna per mancanza di prospettive.
Il Presidente della Federazione transalpina, il medico franco-padovano Humbert Furgoni, ha esaminato il problema ed è giunto alla constatazione (ma non ci voleva molto ad arrivarci!), che alla Francia mancano i grandi protagonisti: non c’è sufficiente visibilità per pugili ed eventi; al contrario che nel Calcio, nella Boxe non esiste un calendario e infine, l’abnorme proliferazione di titoli e sigle ridicolizza la sostanza di questo sport.
In effetti, basterebbe pensare all’Italia e ci accorgeremmo che i problemi sono sempre gli stessi, quasi dovunque. Ma non è il caso di abbandonarsi ad un gioioso “mal comune-mezzo gaudio”, perché quando atleti che dovrebbero essere professionisti con tutto quanto consegue, salgono sul ring per battersi per titoli rosso-bianco-verdi e per 30’ di pugni guadagnano spesso quanto un impiegato qualsiasi in un mese, c’è proprio poco da essere allegri…
Se in Francia, su 350 atleti professionisti, si ritiene che appena una dozzina possano vivere dei loro introiti sportivi, in Italia, dove i “prize-fighters” sono circa la metà, quelli che non devono svolgere un altro lavoro per guadagnare la “pagnotta” si possono contare probabilmente e a fatica sulle dita di una mano!
(Pubblico d'oggi in Germania...)
Qualsiasi disciplina agonistica richiede oggi una dedizione pressoché totale per consentire, al campione o aspirante tale, di raggiungere livelli di un certo prestigio e ciò non può accadere quando impiegati, operai, panettieri, pescatori, muratori e “butta-fuori”, ecc, sono costretti a lottare quotidianamente con le problematiche famigliari ed esistenziali, per trovare il tempo di allenarsi alla “meno-peggio”, spesso senza sparring e ambienti adeguati, e a lesinare persino sui medicinali e sulla dieta (entrambi costosi), di cui necessita un atleta professionista di livello almeno dignitoso.
E’ inutile girare attorno ad un problema fondamentale: in Francia come in Italia e in qualsiasi altro paese del mondo, a dare immagine al pugilato, a conquistare le prime pagine dei giornali, ad attirare gli interessi televisivi è sempre stato al 90% il professionismo e se tale settore non è “spendibile”, tutto l’ambiente finisce in affanno…Gli ultimi Mondiali di Milano, ad esempio, hanno ricevuto una “copertura” televisiva ridicola (neppure la TV di Stato era presente!), se paragonata agli analoghi Mondiali di Nuoto, svoltisi poco prima a Roma, per non parlare di quelli di Atletica Leggera; inoltre, nonostante le stupende vittorie di Cammarelle e Valentino, quale perdurante eco ha seguito l’impresa dei nostri campioni? Breve e flebile, se paragonata al valore del successo conseguito da Roberto e Domenico e ai cospicui impegni finanziari affrontati da tutti gli affiliati per raggiungerlo.
Al contrario, pur tra mille difficoltà, grande sensazione, ad esempio, ha destato il match iridato tra Fragomeni e Wlodarczyc persino tra gli "estranei" al pugilato e varie riunioni professionistiche svoltesi a Roma o in altre città italiane hanno richiamato un pubblico interessante attorno al ring. Ma era comunque boxe a torso nudo e senza score-machine!
Ora in Francia, sotto la guida di Dominique Nato, tra l’altro CT della Nazionale dilettantistica, compie i suoi primi passi la Lega Professionistica, con un obiettivo iniziale molto semplice: ridare credibilità ai match. In che modo? Impedendo ai pugili stranieri di combattere in Francia se hanno subito più di 3 sconfitte per ko e non hanno vinto almeno 3 degli ultimi 6 incontri sostenuti…Insomma, con un pizzico di buon senso.
Quando però si entra nelle problematiche economiche, a nome degli altri promoter si fa sentire ad alta voce la protesta di Michel Acaries: “…La Federazione vuole farci sparire ed impegnarsi esclusivamente in prospettiva dei Giochi Olimpici…”. Gli fa da eco anche il collega Gerard Tysseron: “Il costo della licenza per diventare organizzatore è di 8000 euro. E’ troppo alto e abbiamo la Federazione più carta del mondo!”.
In conclusione, tutto il mondo è paese…d’accordo. Ma se in una realtà come la nostra, dove il numero dei ragazzi che cominciano a praticare il pugilato è in costante crescita, cosa che da moltissimi anni non avveniva, ma agli stessi si rifiuta persino il passaggio al professionismo da parte di varie scuderie, perché non ci sarebbe poi modo di far svolgere ai ragazzi a torso nudo un’attività adeguata e dignitosamente remunerativa, qualcosa che non va è evidente.
Per anni abbiamo pianto sul declino delle vocazioni e ora che sono finalmente in espansione, arriviamo all’assurdo di ritenere che i professionisti siano troppi…Ma che dovrebbe fare un ragazzo a cui la maglia azzurra e tutti i benefit ad essa riservati è preclusa? Semplice: passare professionista! E se anche ciò è impossibile, allora che dovrebbe fare? Purtroppo, appendere i guantoni al chiodo.
Ecco...appunto! Poi ci si meraviglia che i migliori professionisti nostrani abbiano 40 anni...
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